Dipendenze

Parliamo di dipendenze patologiche quando si manifesta una ricerca esagerata di una sostanza o di un comportamento, che produca piacere, permetta di evitare stati d’animo negativi e regoli l’emotività.

Questa ricerca spasmodica, determina un comportamento compulsivo e incontrollato nel lungo termine disfunzionale, intorno al quale si organizza il significato esistenziale del soggetto e si orientano le sue energie.

La prima domanda non è: “Perchè la dipendenza?” ma “Perchè la sofferenza?”  Gabor Maté

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Dipendenze

COSA SONO LE dipendenzE patologicHE

Esistono diversi tipi di dipendenze che possiamo dividere in due macro gruppi:

  • le dipendenze da sostanze, ad esempio la dipendenza da alcol, droga o fumo;
  • le dipendenze comportamentali, come il gioco d’azzardo patologico, lo shopping compulsivo.


A queste di aggiungono oggi nuove dipendenze come quella per le nuove tecnologie- ovvero dipendenza da TV, internet, social network, videogiochi- la dipendenza dal lavoro, dal sesso, dalle relazioni affettive e alcune devianze del comportamento alimentare come l’ortoressia (attenzione esagerata alle norme alimentari) e dell’allenamento sportivo come la sindrome da overtraining.

Queste dipendenze presentano manifestazioni cliniche con diverse analogie tra loro, quindi trattabili secondo approcci similari.

aspetti comuni nelle dipendenze

Le dipendenze da sostanze e le dipendenze comportamentali presentano alcuni aspetti comuni:

  • Entrambe sono caratterizzate dalla ricerca del piacere e sollievo da stati emotivi negativi. Fase di negazione del problema.
  • La sostanza o il comportamento domina costantemente il pensiero: vi è l’impossibilità di resistervi, la dipendenza viene vissuta con modalità compulsiva;
  • Presenza del craving: desiderio crescente o stato di tensione che precede l’assunzione della sostanza o la messa in atto del comportamento;
  • Presenza di instabilità dell’umore: inizialmente precedente l’assunzione della sostanza o del comportamento, successivamente sempre più generalizzata;
  • Presenza di tolleranza, ovvero progressiva necessità di incrementare la quantità di sostanza o di tempo dedicato al comportamento per ottenere l’effetto piacevole;
  • Crescente sensazione di perdita del controllo;
  • Presenza di un profondo disagio psichico e fisico quando s’interrompe o si riduce l’assunzione della sostanza o del comportamento e passaggio dalla motivazione iniziale di ricerca del piacere, all’evitamento del dolore;
  • L’uso della sostanza o l’esecuzione del comportamento, continuano nonostante le progressive conseguenze sul funzionamento personale e interpersonale (sfera lavorativa, affettiva, amicale, personale…);
  • Frequente tendenza a riavvicinarsi alla sostanza o al comportamento dopo un periodo di interruzione: il fenomeno della ricaduta;
  • Elevata frequenza dell’assunzione di più sostanze o dell’esecuzione di più comportamenti, nonché di passaggio da una dipendenza a un’altra;
  • La somiglianza dei principali fattori di rischio: deficit nella regolazione delle emozioni, impulsività, sensation-seeking (ricerca di sensazioni), scarsa capacità di prendersi cura di sè, inadeguato ambiente genitoriale (storia di traumi, trascuratezza e abusi);
  • Ricerca di uno stato mentale che alteri la percezione della realtà.

come uscire dalle dipendenze?

Il primo passo è aiutare la persona a riconoscere i propri stati emotivi correlandoli all’esperienza corporea e riuscire a regolarli senza ricorrere a modalità di “fuga” in sostanze o comportamenti, bensì affidandosi alle risorse personali.

I modelli di trattamento basati sulla Mindfulness condividono l’obiettivo principale di modificare alla radice il rapporto con la propria esperienza, imparare ad osservarla proprio mentre accade e senza giudicarsi, creare lo spazio per riconoscere i propri bisogni e stati di sofferenza e la libertà di non reagire automaticamente o inconsapevolmente.
L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra pericolosa indulgenza e rigida rinuncia, severa autodisciplina e compassione per sé. 

Nella cura delle dipendenze patologiche anche la terapia EMDR rappresenta un valido strumento di aiuto. Questo tipo di terapia permette di elaborare e sciogliere tutti i nodi degli eventi passati che accumulandosi rivelano fattori di rischio, nonché l’individuazione dell’evento precipitante e di tutte quelle situazioni “trigger”, cioè di innesco per l’utilizzo della sostanza o del comportamento, oltre a permettere la desensibilizzazione a livello corporeo del desiderio di assumere o agire (craving).

“Tra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio si trova il nostro potere di scegliere la nostra risposta. Nella nostra risposta risiedono la nostra crescita e la nostra libertà”  Frankl

La seduta di psicoterapia: come funziona?

Il primo passo nell’approccio psicoterapeutico è costituito da una fase di inquadramento diagnostico e di comprensione del ruolo simbolico e della funzione del sintomo nella vita dell’individuo, che varia a seconda delle caratteristiche di personalità e delle situazioni esterne o interne che lo innescano.
Una volta creata una comprensione condivisa ed inserita nella storia di vita del paziente, si costruisce un’alleanza tra paziente e terapeuta circa gli obiettivi della terapia, valutando anche l’eventuale necessità di ricorrere a una terapia farmacologica, e poi si può passare alla fase più terapeuticamente attiva.

Il mio metodo prevede in prima battuta la gestione dell’esperienza interna portando consapevolezza lì dove invece il sintomo agisce in modo automatico, scavando un solco di disfunzionalità cieca e circolare. L’apprendimento concreto di tecniche e pratiche, fra cui anche la Mindfulness, si sono rivelate utili per sviluppare una parte di Sè che osserva, dalla quale si può assumere una diversa prospettiva sugli aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali della propria esperienza. 

Il paziente impara a riconoscere le idee e i pensieri, su di sè e sul mondo, in quanto tali e riesce a valutarne l’utilità o meno per la propria vita; diventa consapevole delle proprie emozioni e di come queste si manifestino anche nel corpo.

Accettazione, contenimento e cura di questa parte della propria esperienza, può lasciar andare il bisogno di controllo ed evitamento interno ed aumentare la propria libertà di scelta e di visione di sè a lungo termine e indirizzare le proprie azioni e il comportamento verso una vita vissuta come piena, ricca e significativa.

Una volta avviata questa fase di gestione dell’esperienza interna e sostituito il sintomo con la consapevolezza di sè, si può passare a uno step di elaborazione più profonda tramite la terapia EMDR

Il vissuto che produce sofferenza nel momento presente ha spesso un collegamento con un medesimo vissuto emotivo nell’esperienza passata. Insieme a questo si identificano anche delle credenze negative (talvolta implicite) su di sé e si va a lavorare proprio sui nodi originari di “imprinting”, permettendo l’integrazione adattiva delle emozioni e la “ristrutturazione” cognitiva delle credenze disfunzionali ancora operanti nel mio presente.

Nella fase finale il lavoro terapeutico prevede di affrontare anche la visione di un futuro percepito non più attraverso il sintomo, la paura, l’evitamento, ma da una nuova visione libera e lungimirante, resa più integra e potente dalla flessibilità psicologica, dalla auto-accettazione e dalla libertà di scelta che sono i tre macro obiettivi di ogni psicoterapia.

I tempi della psicoterapia

In un mese (4 sedute mensili) si esaurisce la parte di analisi della domanda, test, e diagnosi, nonché della costruzione condivisa degli obiettivi della terapia. 
Obiettivo: la presa in carico della propria sofferenza emotiva, alleviando il disagio.

Entro i 6 mesi successivi si mobilitano le risorse e il cambiamento rispetto ai sintomi.
Obiettivo: superamento della fase acuta (con una variabilità soggettiva di risposta).

Dai 6 mesi in poi si può passare a una fase di mantenimento, prevenzione della ricaduta, costruzione di nuovi obiettivi ed anche ad una fase di potenziamento personale.

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